lunedì, febbraio 26, 2007
Riprendo un post di wittgenstein sulla vecchia querelle sole24- D&G.

Camilla Baresani scrive sul Sole24Ore che la cotoletta del ristorante di Dolce e Gabbana fa schifo. Loro ritirano la pubblicità al Sole24Ore ("dobbiamo difenderci") e insultano la Baresani. Il Sole24Ore pubblica un'altra recensione, favorevole al ristorante, ma il direttore De Bortoli manda i due a quel paese e rincara la dose: fanno schifo pure i loro vestiti.
Cathy Haines del New York Times parla male di un paio di pantaloni di Armani, e lui non la fa entrare alla sua sfilata, mandandogliene a dire di ogni. I colleghi della Haines protestano, "la libertà di informare...".
Hanno tutti ragione e tutti torto. Baresani e Haines hanno tutto il diritto di scrivere quello che vogliono e pensano, come Dolce, Gabbana e Armani hanno tutto il diritto di scegliere cosa fare dei propri investimenti e dei propri inviti. Se i secondi si sono convinti di essere i re del mondo, la colpa è dei giornali e dei giornalisti da sfilata: non venissero a lamentarsi quando coloro a cui hanno leccato i piedi per decenni li prendono a calci.
E nessuno nei giornali protesti contro il ricatto degli investimenti pubblicitari operato da Dolce e Gabbana: questo ricatto esiste già, da tempo, in ogni giornale. La condiscendenza nei confronti dell'inserzionista, portata fino alla marchetta vera e propria, non l'hanno chiesta ieri Dolce e Gabbana: c'è da un pezzo. Bisognava pensarci prima: ora si può solo rimediare con una recensione benevolente, uno sconto sulle tariffe, un complimento bene assestato...


Non fa una piega. Dalla pur breve esperienza come insider, LadyUp mi ha reso partecipe del fatto che il concetto di do ut des tra questi due poli ha assunto toni morbosi. Nulla di nuovo sul fronte occidentale, ma gli aneddoti a loro modo sono sempre curiosi.
Nel suo caso il fenomeno non è così radicato in verità, considerato specialmente che la sua azienda non segue una politica di posizionamento massiccio sui principali canali mediatici. Tuttavia (e qui il tono si fa più mesto) nel nostro piccolo anche noi (prima persona plurale a scopo protettivo) abbiamo contribuito ad alimentare questa viziosa spirale.
Il giorno della sfilata, LadyUp, in un certo momento curiosamente collocata "alle liste", e colleghe hanno rimbalzato il fotografo dell'ansa, preferendogli la crew di nonsolomoda* (che dovrebbe aver contraccambiato nell'ultima puntata).
Senza menzionare poi la lubrificazione sinallagmatica con alcuni importanti giornalisti televisivi, preziosi minuti di servizio versus "munuscula" gentilmente offerti dalla casa (perlopiù core product) o servigi logistici (signora, a che ora le mando l'autista?).

Nulla di nuovo lo ripeto, solo una conferma di quanto scritto in testa.




*A dir la verità pare che sulla scelta abbia pesato in modo decisivo un mms della nostra blogstar; mms che lo ritraeva abbracciato al mese di luglio del calendario della toffanin.

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posted by Upstream at 9:33 PM |


1 Comments:


At 9:49 AM, Blogger il Valery

Sono quasi tentato di:

1) Andare ad assaggiare la cotoletta al locale di Dolce&Gabbana
2) Abbracciare la Toffanin dal vivo
3) Diventare giornalista di moda per provare quale siano i reali vantaggi di tale categoria

Potrebbe essere la svolta...