lunedì, ottobre 16, 2006
Verona. Ore 07.50. Binario 7.
Sonno maledetto.
Trascino con fatica me e le mie valigie sul primo scompartimento dell'interregionale per milano. Il tutto avviene con un automatismo quasi fordiano, non ho il controllo del mio corpo, lui sa cosa deve fare e lo fa senza sbavature. Mi siedo come di consueto nel posto che non ha sedili di fronte, quello che si trova all'inizio del vagone, subito dopo aver aperto la porta dello scompartimento per intenderci. La scelta è dettata da due motivi:
1 riesco a stendere le gambe, evitando così un fastidioso tetris con valigie e gambe altrui
2 i posti contigui vengono generalmente trascurati, creando tutte le premesse per un grassa dormita. In lunghi anni di peregrinare sui nostri treni ho osservato che la gente tende ad ammassarsi a centro vagone, lasciando gli estremi tendenzialmente vuoti.
Sono di cattivo umore e voglio solo dormire.
Dopo 3 minuti, nei quattro posti alla mia sinistra, si siede una famiglia di origini asiatiche. La mamma è la copia nippon di Samara. Un'indemoniata. Alla partenza del treno inaugura quello che a tutti gli effetti ricorderò come il monologo più lungo della tratta verona milano. Monologo perchè il marito, evidentemente aduso ai deliri della compagna, cade in un sonno catatombale dopo 5 minuti dalla partenza. I due figli, a cui presumo fosse rivolto il predicozzo, la seguono a stento mostrando evidenti segni di cedimento: palpebra pesante, sguardo vacuo e assente, leggera bava alla bocca.
Bypasso il generatore automatico di ideogrammi infilandomi gli auricolari. In fondo il tono della voce non era così alto, metto craig armstrong -"Piano Works"- che già in altre circostanze mi aveva anestetizzato.
A peschiera del garda sale la ragazza esile col valigione. Ogni scompartimento ha la sua ragazza esile con il valigione (così come la famiglia nippon, l'esponente del mercato nero, la puerpera con pargolo posseduto): lei generalmente pesa 50 chili, ha un fisico minuto e acerbo e uno sguardo spiritato e spossato al contempo, di chi ha appena compiuto un' impresa riuscendo a scalare i tre gradini del treno. E' una ragazza acida, lo si denota dal modo di vestirsi severo e castigato, dall'espressione spesso pontificatrice del suo viso. Non ha il ragazzo ma da quando frequenta il forum di girl power ha un sacco di amiche in rete con i suoi stessi problemi. Il suo bagaglio, un monolite di 2 metri per uno, di regola pesa almeno il triplo della sua proprietaria.
Apre la porta. Ansima. Mi guarda e appoggia la valigia di fronte a me.
"Vuoi una mano?"
"Stai scherzando vero? E poi chi la tira giù quando devo scendere? No guarda preferisco lasciarla qui". Mi viene voglia di coprirla d'insulti ma cedo.
Chi mi conosce sa che sono un persona estremamente tollerante, davvero. Ho soglie di sopportazione incredibilmente alte. In fondo lo capirà da sola che lì la valigia non può stare. Sopravvaluto il suo acume da criceto.
Trac, l'armadio con rotelle viene piazzato davanti alle mie gambe, di fatto impedendo al sottoscritto di muoversi al di fuori del suo cilindro d'aria e bloccando l'apertura della porta dello scompartimento. La valigia crea un'interessante effetto tappo, la porta non si apre
se non per un angolo di 30 gradi. Malumore dei viaggiatori, Samara prosegue stoica nel suo personale simposio.
Armostrong pare avere l'effetto di un bustina di camomilla in una tanica da 5 litri di acqua. Irrilevante.
Brescia. Il flusso di persone in ingresso nello scompartimento aumenta, fuori si organizzano per sfondare, assestano i primi scossoni e la ragazza cede, piglia il suo compagno di mille avventure e, sbuffando, si trascina verso il centro. Applausi, io la guardo con disprezzo, vorrei accompagnare il mio disappunto con i peggiori gesti ma non mi posso muovere. Ormai sono completamente anchilosato. Upstream, una pertinenza del sedile.
Al mio fianco si siede una simpatica vecchina. La classica vecchina curiosa e impicciona, tanto desiderosa di raccontarti di lei che sfrutterebbe qualsiasi espediente pur di ingabbiarti in una conversazione potenzialmente perpetua. L'espediente lo trova nel mio apple. Mettersi a a vivisezionare con lo sguardo un powerbook alla tenera età di 80 anni mi lascia riflettere, dev'essere all'ultima spiaggia. Guarda insistentemente lo schermo, scruta la tastiera, lo sfiora. E poi mi prende per il braccio.
-Ma non vedi che ho gli auricolari cazzo!-.
"Che bel computer che hai, sai io devo fare un regalo a mio nipote lui vorrebbe blablabla...". Segue un pippone di venti minuti sulla storia del nipote, neo matricola di ingegneria, dei suoi tempi " che queste cose mica c'erano eh", di come si stava meglio quando si stava peggio e so on.
Il mio nobile piano di dormire almeno un'ora va serenamente a mignotte.
Io mi tolgo solo un auricolare, almeno ho un palliativo penso.
Solo che l'operazione nostalgia della vecchina si fonde ai vaneggiamenti dell'involtino primavera alla mia sinistra e il mix si rivela fatale. Il mio cervello va in crash sulle note del pianista inglese. Non male per essere solo le 9 del lunedì mattina. Estenuato, faccio finta di scendere a treviglio e mi do alla fuga, consapevole che trovare posto in altri vagoni a quell'ora è chiaramente un'utopia.
Finisco il mio viaggio tra un vagone e l'altro, seduto sulla valigia. Sullo sfondo il soave frastuono delle rotaie e due ragazzine che disquisivano della recente reunion dei takethat.
Quest'ultimo chiaramente un segnale che il mio lunedì poteva dirsi chiuso già a quell'ora.
Sonno maledetto.
Trascino con fatica me e le mie valigie sul primo scompartimento dell'interregionale per milano. Il tutto avviene con un automatismo quasi fordiano, non ho il controllo del mio corpo, lui sa cosa deve fare e lo fa senza sbavature. Mi siedo come di consueto nel posto che non ha sedili di fronte, quello che si trova all'inizio del vagone, subito dopo aver aperto la porta dello scompartimento per intenderci. La scelta è dettata da due motivi:
1 riesco a stendere le gambe, evitando così un fastidioso tetris con valigie e gambe altrui
2 i posti contigui vengono generalmente trascurati, creando tutte le premesse per un grassa dormita. In lunghi anni di peregrinare sui nostri treni ho osservato che la gente tende ad ammassarsi a centro vagone, lasciando gli estremi tendenzialmente vuoti.
Sono di cattivo umore e voglio solo dormire.
Dopo 3 minuti, nei quattro posti alla mia sinistra, si siede una famiglia di origini asiatiche. La mamma è la copia nippon di Samara. Un'indemoniata. Alla partenza del treno inaugura quello che a tutti gli effetti ricorderò come il monologo più lungo della tratta verona milano. Monologo perchè il marito, evidentemente aduso ai deliri della compagna, cade in un sonno catatombale dopo 5 minuti dalla partenza. I due figli, a cui presumo fosse rivolto il predicozzo, la seguono a stento mostrando evidenti segni di cedimento: palpebra pesante, sguardo vacuo e assente, leggera bava alla bocca.
Bypasso il generatore automatico di ideogrammi infilandomi gli auricolari. In fondo il tono della voce non era così alto, metto craig armstrong -"Piano Works"- che già in altre circostanze mi aveva anestetizzato.
A peschiera del garda sale la ragazza esile col valigione. Ogni scompartimento ha la sua ragazza esile con il valigione (così come la famiglia nippon, l'esponente del mercato nero, la puerpera con pargolo posseduto): lei generalmente pesa 50 chili, ha un fisico minuto e acerbo e uno sguardo spiritato e spossato al contempo, di chi ha appena compiuto un' impresa riuscendo a scalare i tre gradini del treno. E' una ragazza acida, lo si denota dal modo di vestirsi severo e castigato, dall'espressione spesso pontificatrice del suo viso. Non ha il ragazzo ma da quando frequenta il forum di girl power ha un sacco di amiche in rete con i suoi stessi problemi. Il suo bagaglio, un monolite di 2 metri per uno, di regola pesa almeno il triplo della sua proprietaria.
Apre la porta. Ansima. Mi guarda e appoggia la valigia di fronte a me.
"Vuoi una mano?"
"Stai scherzando vero? E poi chi la tira giù quando devo scendere? No guarda preferisco lasciarla qui". Mi viene voglia di coprirla d'insulti ma cedo.
Chi mi conosce sa che sono un persona estremamente tollerante, davvero. Ho soglie di sopportazione incredibilmente alte. In fondo lo capirà da sola che lì la valigia non può stare. Sopravvaluto il suo acume da criceto.
Trac, l'armadio con rotelle viene piazzato davanti alle mie gambe, di fatto impedendo al sottoscritto di muoversi al di fuori del suo cilindro d'aria e bloccando l'apertura della porta dello scompartimento. La valigia crea un'interessante effetto tappo, la porta non si apre
se non per un angolo di 30 gradi. Malumore dei viaggiatori, Samara prosegue stoica nel suo personale simposio.
Armostrong pare avere l'effetto di un bustina di camomilla in una tanica da 5 litri di acqua. Irrilevante.
Brescia. Il flusso di persone in ingresso nello scompartimento aumenta, fuori si organizzano per sfondare, assestano i primi scossoni e la ragazza cede, piglia il suo compagno di mille avventure e, sbuffando, si trascina verso il centro. Applausi, io la guardo con disprezzo, vorrei accompagnare il mio disappunto con i peggiori gesti ma non mi posso muovere. Ormai sono completamente anchilosato. Upstream, una pertinenza del sedile.
Al mio fianco si siede una simpatica vecchina. La classica vecchina curiosa e impicciona, tanto desiderosa di raccontarti di lei che sfrutterebbe qualsiasi espediente pur di ingabbiarti in una conversazione potenzialmente perpetua. L'espediente lo trova nel mio apple. Mettersi a a vivisezionare con lo sguardo un powerbook alla tenera età di 80 anni mi lascia riflettere, dev'essere all'ultima spiaggia. Guarda insistentemente lo schermo, scruta la tastiera, lo sfiora. E poi mi prende per il braccio.
-Ma non vedi che ho gli auricolari cazzo!-.
"Che bel computer che hai, sai io devo fare un regalo a mio nipote lui vorrebbe blablabla...". Segue un pippone di venti minuti sulla storia del nipote, neo matricola di ingegneria, dei suoi tempi " che queste cose mica c'erano eh", di come si stava meglio quando si stava peggio e so on.
Il mio nobile piano di dormire almeno un'ora va serenamente a mignotte.
Io mi tolgo solo un auricolare, almeno ho un palliativo penso.
Solo che l'operazione nostalgia della vecchina si fonde ai vaneggiamenti dell'involtino primavera alla mia sinistra e il mix si rivela fatale. Il mio cervello va in crash sulle note del pianista inglese. Non male per essere solo le 9 del lunedì mattina. Estenuato, faccio finta di scendere a treviglio e mi do alla fuga, consapevole che trovare posto in altri vagoni a quell'ora è chiaramente un'utopia.
Finisco il mio viaggio tra un vagone e l'altro, seduto sulla valigia. Sullo sfondo il soave frastuono delle rotaie e due ragazzine che disquisivano della recente reunion dei takethat.
Quest'ultimo chiaramente un segnale che il mio lunedì poteva dirsi chiuso già a quell'ora.