giovedì, settembre 21, 2006
Qui si ascolta molta musica. Elettronica perlopiù ma con importanti sconfinamenti verso territori sonori contigui (e non), per usare una perifrasi un po' paracula e ruffiana.
Tempo fa assistetti ad uno showcase di un gruppo da poco formatosi, gli HiroshimaMonAmour. Sono giovani, hanno un buon affiatamento, ci canta un amico con il quale ho molte affinità se solo avessi deciso di intraprendere una carriere artistic oriented.
Nell'attesa che i giovanotti registrino qualcosa o aprano, come il trend e il mercato vogliono, il loro myspeis vi riporto la recensione che ho confezionato quella sera.



" Arriveremo a bassa quota con il sole alle spalle, e a un miglio di distanza gli sbattiamo la musica " " La musica ? " " Io uso Wagner, fa cacare sotto i Vietnamiti , i miei ragazzi l'adorano " Ten. Col. William "Bill" Kilgore

Inizio dal forte impatto sonoro ed emozionale per gli Hiroshima, alla loro prima prova on stage. Gli elicotteri della Nona Divisione sembrano essere premonitori. L’avvio è folgorante.
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Premessa maior: qui non si soffre di bulimia citazionistica, non ci piacciono i morbosi richiami a questo o quel gruppo né tantomeno le battute di caccia alla ricerca di qualsivoglia influenza musicale. Volete sentirvi dire che il piglio è tipicamente brit ma che in nostri non disdegnano scampagnate nella scena rock newyorkese (interpol su tutti), che le sonorità si muovono sull’asse della recente ondata “new new wave” dai contorni sfuggevoli e non ben definiti (Strokes, Maximo park + n a piacere di altri gruppuscoli visti a rotazione su mtv brand new), che il cantante è terribilmente catchy e a suo modo un potenziale trendsetter? “Sì è l’ennesima indiequalcosaband tracotante e spocchiosa”. Bene, gli HiroshimaMonAmour sono tutto questo. O forse no, in ogni caso ci siamo sciacquati la coscienza.

Al di là di queste asettiche provocazioni, l’ascolto è ciò che ci interessa.

Le prime due canzoni lanciano un messaggio chiaro: siamo fottutamente indierock. Notevole l’affiatamento tra i ragazzi che premono subito sull’acceleratore. La chitarra è sicuramente protagonista, gli arraggiamenti sempre in grado di dare il giusto tono al brano disegnano un tappeto sonoro su cui si innesta una sezione ritmica solida e incalzante. Finisce l’opera un cantato molto diretto e travolgente.

Merita un cenno particolare Shootin Star (non a caso bissata) con i suoi riff dannatamente graffianti e il ritornello killer che ti si stampa in fronte dopo un paio di ascolti. Il piede si è mosso in più di un’occcasione per seguire il ritmo.

Seguono altri pezzi del repertorio al contempo riflessivi e intimisti (My Sweetest Hour) e scanzonati (I Don’t Love You Anymore) intervallati da alcune cover (giusto per non indispettire il visitatore medio di Pitchforkmedia).

Alla fine l’impressione è quella di un gruppo che può dare molto sia in termini di songwriting sia realizzativi. Siamo agli alborì è vero ma di certo la personalità e gli spunti non mancano.

Non sappiamo se, venerdì al lucille i vietcong si sarebbero cacati sotto ugualmente, in fondo non ci interessa. Ciò che conta è che, il vecchio bill sarebbe stato fiero dei suoi quattro ragazzi e forse si sarebbe limitato a dire go on dudes..

(Vicoquattro)


Ps: Non riesco a rinunciare alle mie iperboli, si fottano i minimalisti del Verbo.
 
posted by Upstream at 7:59 PM |


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